Storia della Stazione Termini nel cinema
A soli 500 metri da Hotel Alpi si trova quello che per molti aspetti è il cuore pulsate di Roma: la Stazione Termini. Uno snodo attraversato quotidianamente da 500 mila cittadini e turisti, quindi da circa 150 milioni di persone all’anno, i cui lavori di costruzione iniziarono quando la città era ancora la capitale dello Stato Pontificio. Un’opera monumentale (oltre 225 mila mq) costruita in diverse fasi, la cui versione definitiva fu inaugurata nel 1950.
Termini non è solo il cuore dei trasporti di Roma, ne è anche un simbolo culturale e ben presto fu adottata dal cinema, italiano e internazionale. Cinecittà (inaugurata pochi anni prima della stazione, nel 1937) ha spesso ambientato film in quel luogo concreto e magico allo stesso tempo, fatto di acciaio e di emozioni, di incontri e di addii, di destini che s’incrociano e di strade che si separano. Il legame tra la settima arte e la ferrovia è sempre stato saldo: uno dei primi corti girati e proiettati dai Fratelli Lumière fu quello di un treno in movimento, dal poco fantasioso titolo “L’arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat” (1896). E anzi fu proprio questo corto a colpire con maggior forza l’immaginazione del pubblico dell’epoca (al punto che secondo la leggenda gli spettatori presenti, temendo che il treno fosse in qualche modo reale, si diedero alla fuga), iniziando a creare quel legame tra cinema e ferrovia che nel corso dei decenni si sarebbe via via rafforzato. Quante volte abbiamo visto in un film una scena ambientata in un treno o in una stazione?
Tre anni dopo l’inaugurazione dello snodo ferroviario il già (due volte) premio Oscar Vittorio de Sica diresse un film di produzione internazionale proprio intitolato Stazione Termini (1953). Alcuni dei maggiori successi in sala nell’Italia del dopo guerra furono film basati sulla strada ferrata: dal leggero Destinazione Piovarolo (1955) con Totò nei panni di un capostazione di provincia, al drammatico Il Ferroviere (1956) di Pietro Germi. Quest’ultimo ha avuto un rapporto molto intenso con la ferrovia: nel suo più grande successo, Divorzio all’italiana (1961), ci sono più sequenze girate sui treni (sui cui viaggia il Barone Cefalù interpretato da Mastroianni) e una delle scene più iconiche dell’intera storia del cinema italiano, quella degli schiaffi ai passeggeri in partenza tirati dagli Amici miei (1975), fu scritta proprio da lui (la sequenza fu poi girata nella Stazione di Firenze Santa Maria Novella).
Il treno e la stazione sono luoghi fondamentali del 900, il secolo in cui è nato tra le tante cose il cinema, che è la forma d’arte più rappresentativa dell’intero secolo. Tra i due non poteva non nascere un legame: in fondo entrambi sono incentrati sul concetto di viaggio, quello fisico e quello mentale: la stazione è una porta verso una destinazione cosi come la sala cinematografica si apre su un mondo nuovo.
E tutta questa storia, tutta questa cultura sono appena a 5 minuti a piedi dal nostro portone.